Post-Core: Lights And Shadows
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La vita discografica degli Isis, figli della Ipecac Records di Mike Patton, si può dividere in due momenti: nel primo, contrassegnato dai dischi "Celestial" e "Oceanic", il gruppo riprende fedelmente il modello "Neurosis", senza apportare nessuna variazione di rilievo. Con gli ultimi due lavori "Panopticon" (considerato da critica e fans il loro massimo punto di creatività) e "In The Absence Of Truth", si intravedono i primi raggi di sole, merito di una voce che si evolve adottando la formula clean/growl, mentre tutt'attorno pare di assistere ad una jam urticante, fatta di cambi di tempo inaspettati.
A questo punto la piccola rivoluzione innescata da Neurosis e Isis cominciò ad invadere anche l'Europa e in particolar modo la Svezia: proprio qui nacquero Cult Of Luna e Burst, due nuove realtà del post-core. La definizione "sludge metal" stava troppo stretta ai Cult Of Luna, perchè questo nuovo termine andava ancora una volta ad intaccare il doom, spostando così il baricentro verso gruppi come Eyehategod e Down, totalmente estranei alla scena presa in esame. I capitoli della loro discografia si differenziano tutti in piccoli particolari: "Salvation" è in assoluto il picco della loro emotività con le sue trame sofferte, "Somewhere Along The Highway" è il più accessibile del lotto, capace di farsi apprezzare anche dai non estimatori, infine "Eternal Kingdom" è un ritorno agli albori, con un maggior spazio riservato agli strumenti, regalando così singolari episodi chitarristici e ritmiche meno serrate, senza venir meno alla furia che li ha resi noti.
I Burst sono quelli più intrisi di modernità, dove gioca un ruolo fondamentale la voce pulita del chitarrista Robert Reinholdz, ideale contraltare a quella brutale di Linus Jagerskog. Una menzione va senza dubbio ad "Origo" del 2005, ricco di chiaroscuri e atmosfere ombrose, magnificamente sorrette dalle melodie vocali
Finito questo breve excursus in terra svedese, torniamo nelle care e vecchie lande a stelle e striscie con i Mastodon da Atlanta. Dapprima fautori di cavalcate trash tecnicamente avanzate, con "Blood Mountain" del 2006, cominciò a circolare la terminologia "post-metal", una terminologia assolutamente infondata, come abbiamo potuto apprendere nel primo segmento di questo articolo. La differenza stava nella facilità che avevano di pescare a piene mani nel sound che contraddistinse sia gli anni '70 che la progressive. Nel 2009, con "Crack The Skye", i Mastodon effettuarono un'ulteriore maturazione, facendosi travolgere dallo stoner e lasciando alla batteria di Brann Dailor l'ambito ruolo di protagonista suo malgrado: i dieci minuti dell'epopea "The Czar" ne sono, appunto, la conferma.
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